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domenica 27 marzo 2011

DIRITTO CIVILE SEZIONE I: LA NOZIONE DI CONTRATTO

CAPITOLO UNICO  LA NOZIONE DEL CONTRATTO

Il contratto categoria nota a molti sistemi

Domanda:E’ possibile che accanto alle singole manifestazioni, operi una nozione, un’idea di contratto unitaria?
Risposta: Le definizioni giuridico-positive del contratto, che variano da un sistema ad un altro, potrebbero essere fenotipi di una nozione ispiratrice unica cioè di un unico genotipo.

La concezione base del contratto

Bisognerebbe domandarsi cosa vogliano dire i giuristi quando parlano di contratto riferendosi, in genere,  ad una figura di contratto estranea e superiore al diritto nazionale, capace di corrispondere contemporaneamente a una serie di figure di contratto storiche e nazionali. Le possibili risposte sono quattro:
1)      il codice civile italiano (artt.1321-1325) combinato con quello Napoleonico (artt.1101-1108) fa intendere che il contratto è un accordo, ossia un consenso. Tuttavia ogni lingua distingue il contratto dal mero accordo, quindi  l’accordo per essere un contratto deve essere accompagnato da circostanze identificatorie, cioè circostanze completive necessarie al suo riconoscimento. La concezione pattizia si radica bene nell’idea che raffigura le parti come originariamente libere e sovrane nella propria sfera giuridica, legittimate perciò a disporre di questa sfera con atto insindacabile, e pertanto capaci di creare un rapporto giuridico sempreché entrambi i soggetti consentano alla nascita di quel rapporto. Lo strumento per l’esercizio di questa sovranità è, a prima vista, la volontà, e il contratto sarà dunque un accordo di volontà.
2)      Nel diritto romano il contratto può significare impegno fonte di obbligo o di altra soggezione giuridica – naturalmente il punto di partenza della costruzione è l’impegno consentito. La promessa è qualcosa di serio, è vincolante perché crea un affidamento, un’attesa ragionevole ossia un impegno.
Secondo Sacco non esiste un unico genotipo del contratto, di cui le varie espressioni legislative e positive siano concrete applicazioni e specificazioni. il contratto è un grappolo di concezioni tutte legittime e tutte passibili di molteplici e valide concretizzazioni.
Contratto e negozio giuridico
Il nostro codice non parla di negozio giuridico. Il negozio giuridico è una categoria scientifica elaborata dalla pandettistica tedesca. La dottrina italiana è stata però influenzata dalla dottrina tedesca recependo la categoria del negozio giuridico. Il contratto è un istituto che si colloca vicino ad altri istituti che possono essere ricompresi nella categoria del negozio giuridico. L’art.1324 intitolato norme applicabili agli atti unilaterali prevede “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Quindi il negozio giuridico è una categoria omnicomprensiva in cui rientrano tanto i contratti, quanto tutti gli altri atti patrimoniali tra vivi, gli atti mortis causa e i negozi di diritto familiare; in definitiva il negozio è categoria più ampia e il contratto (negozio bilaterale) è una sua sottocategoria.
La categoria del negozio incontra come suo limite il mero atto giuridico. Nel negozio ha rilievo la volontà o meglio possiamo individuare un collegamento tra volontà ed effetti; nel mero atto giuridico(es. una dichiarazione) manca il collegamento tra volontà ed effetti, gli effetti dipendono dalla legge. Es. chi compie un delitto va incontro ad una pena indipendentemente dalla volontà. Anche negli atti leciti ci sono effetti svincolati dalla volontà: l’abbandono di un bene comporta la perdita di esso indipendentemente dalla volontà di chi l’ha abbandonato.
Perché da un contratto nasce un vincolo giuridico?
Per vincolo s’intende un limite posto alla libertà del soggetto; secondo il dogma della volontà: io sono vincolato perché ho voluto vincolarmi. Ma tale ricostruzione logica presenta dei problemi; esistono norme che istituiscono un vincolo anche in ipotesi in cui tale vincolo non è voluto.
Es. art.1443 che parla dell’errore ostativo dice che le disposizioni degli articoli precedenti (il contratto è annullabile quando l’errore è riconoscibile ed essenziale) si applicano anche quando l’errore cade sulla dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa  da persona o ufficio che ne era stato incaricato. 
L’articolo prevede quindi il caso in cui il vincolo non è voluto ma sorge ugualmente, quindi è la legge che impone il vincolo per tutelare, l’affidamento (buona fede) (principio di autoresponsabilità) e non la volontà di autobbligarsi.
Art 1443 =TORO-ROMA

Lettera del codice e definizione di contratto

Il codice civile definisce in modo impreciso il contratto, richiamandosi a due norme:
L’art.1321 che  identifica il contratto con un elemento unico: l’accordo; e l’accordo è qualificato dal suo contenuto: e cioè verte sulla costituzione, il regolamento o la estinzione di un rapporto patrimoniale. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
L’art.1325 poi ridefinisce il contratto elencandone ben 4 elementi costituendi:i requisiti del contratto sono: l’accordo delle parti; la causa; l’oggetto; la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”.
La definizione di contratto è criticabile dal punto di vista dei requisiti (ex art.1325) e dal punto di vista della funzione e della validità.
Dal punto di vista dei requisiti, l’art.1325 è incompleto, non considera che:
-          Per quanto riguarda l’accordo, non tutti i contratti si risolvono nell’incontro di due volontà: (si pensi al caso della riserva mentale, e al caso frequente di chi conclude fittiziamente quale interposto, e poi si trova vincolato a ciò che dichiara, perché il terzo contraente non è intervenuto nell’intesa simulatoria). A questo primo rilievo va aggiunto un altro più grave. Non sempre il contratto si articola in due dichiarazioni. Nel caso di cui all’art.1333, 2° comma , esso si perfeziona con la ricezione della proposta seguita dalla mera inattività della controparte. Per cui il contratto di cui all’art.1333 non sottende ad un accordo. In altri casi il contratto è perfezionato da una dichiarazione seguita da un inizio di esecuzione (art.1327). Talora poi consta dell’esecuzione di due prestazioni (società di fatto, contratto di fatto).
-          La causa è un ulteriore elemento necessario del contratto, se non versiamo nell’ipotesi dei contratti astratti, cioè validi indipendentemente  dall’esistenza della causa es. cambiale.
-          La forma e la pubblicità sono  poi elementi essenziali di taluni contratti, non tutti i contratti sono formali.
-          Infine per quanto riguarda l’oggetto non tutti i contratti sono vincolati al requisito della c.d. patrimonialità. L’art.1321 fa coincidere il contratto con la figura dell’accordo vertente su rapporti giuridici patrimoniali. Ma questa equazione è smentita da altri articoli del codice. L’art 5 c.c. si riferisce agli atti di disposizione sul proprio corpo, per vietare quelli troppo gravosi per il disponente, e quelli contrari alla legge all’ordine pubblico o al buon costume. I diritti sul proprio corpo non hanno carattere patrimoniale, ma l’art.5 dimostra che essi sono in alcuni casi negoziabili. Ci si  domanda  se i negozi aventi ad oggetto tali diritti siano contratti e poiché la risposta è almeno in parte affermativa la definizione degli artt.1321 e 1325 appare troppo restrittiva.
La definizione contenuta negli artt.1321 e 1325 non risulta migliore dal punto di vista della funzione e della validità:
-          Funzione: dal c.c. si desume che deve considerarsi contratto solo l’atto giuridico che in presenza dei requisiti (art.1325) persegue lo scopo (art.1321) di regolare rapporti giuridici patrimoniali. Se così è tutti gli altri atti giuridici  non sono contratti. La realtà è differente infatti esistono contratti unilaterali (senza accordo), contratti nulli (con causa illecita), contratti di fatto, contratti che producono effetti extrapatrimoniali. Quindi tutte le forme di contratti che non rispettano la funzione astrattamente imposta dalla legge.
-          Validità: dal c.c. si deduce che è nullo il contratto privo dei suoi requisiti essenziali. Ma il legislatore ha ancora una volta peccato d’imprecisione perché si è dimostrato che molti sono i contratti validi carenti di alcuni requisiti previsti dal 1325. Quindi per definire un contratto nullo va analizzato il caso specifico e l’eventualità che non si possano produrre gli effetti caratteristici di quel negozio a causa della mancanza dei requisiti tipici di quel contratto.
E’ difficile dare una definizione perfetta di contratto perché  perché si deve tener conto di un’enorme quantità di variabili;
Il Sacco per regolamentare la materia stabilisce quindi una regola specificandola con delle eccezioni.
La regola definisce il contratto sinallagmatico fondato su un accordo, scambio di dichiarazioni; che persegue lo scopo di costituire rapporti giuridici patrimoniali; con una causa e capace di produrre i suoi effetti.(valido)
Le eccezioni sono:
-         unilateralità del contratto senza accordo-scambio
-         eventuale effetto modificativo o estintivo del rapporto giuridico patrimoniale
-         eventuale non patrimonialità
-         eventuale assenza di causa
-         eventuale nullità o annullabilità

SEZIONE II: LA CONCLUSIONE DELL’ACCORDO

 

CAPITOLO PRIMO

ACCORDO E FORMAZIONE BILATERALE DEL CONTRATTO
Il contratto è definito da molti come un negozio a forma bilaterale o plurilaterale, cioè come la somma di tante dichiarazioni quante sono le parti.
Lo confermano gli art.1321 c.c. “il contratto è l’accordo tra due o più persone per regolare costituire estinguere un rapporto giuridico patrimoniale”.
Art.1326il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
La definizione comune di contratto prevede la bilateralità. Il contratto è uno scambio di dichiarazioni.
L’art.1333 2°comma mette in difficoltà questa comune ricostruzione della categoria.
Art.1333c.c.contratto con obbligazioni del solo proponente: “la proposta diretta a concludere un contratto, da cui derivano obbligazioni per il solo proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura degli affari o degli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”.
L’autore vuole dimostrare che la bilateralità non è mai stato requisito di tutti i contratti. Lo è solo per i contratti sinallagmatici, dove sorgono obbligazioni per entrambe le parti, ma manca nei contratti unilaterali (ex art.1333) che tendono ad imporre obblighi ad una sola delle parti.
-         L’art. 1333 abbiamo detto mette in crisi il concetto di bilateralità.
Vediamo  che l’esigenza della bilateralità nella formazione del contratto può farsi discendere da due principi, che, a loro volta, determineranno conseguenze pratiche diverse:
1)      dal principio della sovranità formale della volontà del soggetto sulla propria sfera giuridica : la sfera di un soggetto non può essere alterata né in peggio né in meglio dalla dichiarazione unilaterale altrui
2)      dal principio della prevenzione della lesione patrimoniale ingiusta :la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata in peggio dalla dichiarazione unilaterale altrui.
Se il legislatore accogliesse integralmente la regola della sovranità formale della volontà del soggetto sulla propria sfera troveremo applicato il principio secondo cui nessuno può essere arricchito né impoverito senza il proprio consenso.
La nostra dottrina non ammette il contratto con unica dichiarazione
La fattispecie di cui all’art.1333 è un contratto unilaterale con obbligazioni del solo proponente, è un contratto con un’unica dichiarazione: qui c’è solo la volontà del proponente a impegnarasi a cui corrisponde un silenzio della controparte.

ART 1333 E LA QUESTIONE DEL SILENZIO
Applicando il dogma della bilateralità del consenso non abbiamo perfezionamento del contratto. la dottrina, allora, ha dato diversi significati al silenzio.
1-Il silenzio può valere come accettazione in presenza di silenzio circostanziato: cioè quando il giudice, in relazione a tutte le circostanze di fatto del caso concreto, ritiene che, nell’ipotesi data, tale silenzio possa significare volontà di accettare. In questo caso vale la bilateralità nella formazione del contratto. Se il  silenzio in quella determinata circostanza è accompagnato da fatti positivi capaci di attribuirgli natura di mezzo espressivo, avremo qui un silenzio circostanziato, che potrebbe essere giustamente classificato tra le manifestazioni di volontà.
La natura del silenzio circostanziato differisce profondamente da quella del silenzio semplice. 
2- il silenzio può valere come accettazione in caso di mancato rifiuto :se di fronte al silenzio si verificano  tutte le conseguenze del contratto, allora non è il silenzio perfezionare il contratto, ma la sola proposta, sempreché i suoi effetti non siano impediti dal rifiuto,. Il Sacco è di questo avviso.
Il 1333 cc. È un contratto bilaterale (presenza di due o più parti); ma a formazione unilaterale (solo il proponente manifesta la volontà e assume obbligazioni), tuttavia il silenzio ha efficacia perfettiva del contratto.
Questa ingerenza portando solo vantaggi, comporta che il contratto sia concluso; ma a tutela della controparte l’art.1333/2 prevede la possibilità per il destinatario di  rifiutare i vantaggi se non voluti “nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi”.
L’art.1333 e il sistema
Contratto e impegno unilaterale
Con l’art.1333, 2° comma, la fattispecie contrattuale più elementare diviene la dichiarazione d’impegno come atto a formazione unilaterale. Dalla dichiarazione d’impegno (o promessa) unilaterale si passa alla figura più complessa della promessa con repromissione, o più genericamente della proposta con accettazione, ossia del contratto come accordo bilaterale, che rappresenta la sintesi di due dichiarazioni distinte.
Per il Sacco, riassumendo, siamo sempre nell’ambito contrattuale quando in mancanza dell’accettazione è possibile il rifiuto. Ciò che distingue il contratto dal negozio unilaterale è la possibilità o meno di rifiutare gli effetti positivi che sono la conseguenza di un sacrificio patrimoniale unilaterale.
Promessa di cui all’art.1333 e promesse unilaterali
Confrontiamo le promesse unilaterali di cui all’art.1333 e le promesse regolate dagli art.1987-1991c.c.
L’art.1333 eleva a contratto la proposta (promessa individualizzata) che mira ad imporre obbligazioni al solo proponente.Una proposta del tipo di cui all’art.1333 può essere individualizzata o rivolta al pubblico (art.1336). Art.1336 offerta al pubblico “l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.
Immaginiamo ora una proposta del tipo di cui all’art.1333 (destinata quindi a creare obblighi al solo proponente) rivolta al pubblico. Gli art.1333 e 1336 ne garantiscono l’efficacia e l’autosufficienza (indipendenza cioè dall’accettazione) una tale proposta non è altro che la promessa al pubblico di cui all’art.1989. l’art.1989/1 è una ripetizione dei risultati cui si perverrebbe anche in sua assenza in forza del combinato disposto dagli art.1333 e 1336.
                        1333+1336=1989!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Secondo Sacco l’art.1989/1c.c. è norma ridondante.
Art.1989 promessa al pubblico “ colui che rivolgendosi al pubblico promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica. Se alla promessa non è apposto un termine o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa”.
Ma secondo parte della dottrina la fattispecie di cui all’art.1333 non è riconducibile all’art.1989 perché
-in primo luogo la promessa al pubblico (1989) sembrerebbe valida (vincolante) solo se  rivolta a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione (e ciò comporterebbe una restrizione dell’autonomia del promittente), mentre nella  promessa individualizzata(1333) non è specificato il destinatario della promessa o l’oggetto della stessa.
-inoltre la promessa al pubblico(1989) non sembrerebbe paralizzabile dal rifiuto,
-infine la revoca della promessa al pubblico (1989) soggiacerebbe a regole particolari.
Ma queste differenze in realtà, per il Sacco sono solo apparenti. 
Il requisito della promessa, per cui essa deve esser rivolta a favore di “chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione” è semplicemente il modo per escludere ogni efficacia della promessa al pubblico fondata su causa meramente capricciosa. Prendendo ad esempio la promessa a favore di chi compia una determinata azione è facile rendersi conto che il promittente garantirà la prestazione a chi abbia compiuto un’attività che soddisfa un interesse del promittente stesso.
Quindi la promessa al pubblico è sottoposta  alle regole sulla causa e sulla forma applicabili alla promessa individualizzata e quindi in definitiva al contratto.

L’art.1333 e il contratto formale
Ci si chiede se l’art.1333 disciplina anche i contratti formali; in altri termini se il silenzio dell’oblato (colui che riceve la promessa) può perfezionare un contratto formale?
Secondo la dottrina il silenzio vale come accettazione tacita, e premesso che i contratti formali richiedono l’accettazione espressa l’art.1333 non disciplina i contratti formali.
Secondo l’autore invece sappiamo che il silenzio non significa accettazione, premesso che i contratti formali richiedono la forma per la sola proposta, mentre non c’è ragione di cautelare il promissario che dall’atto giuridico del promittente ricava solo benefici, l’art.1333 disciplina senz’altro i contratti formali. La Corte di cassazione , con decisioni di evidente importanza, ha affermato l’applicabilità dell’art.1333 2° comma, ai contratti formali e ha dichiarato efficace ad es. una prelazione immobiliare non accettata. La corte considera il contratto di cui all’art.1333 senz’altro concluso se il promissario non rifiuta l’offerta.

Proposta di cui all’art.1333 ed effetti extraobbligatori
L’art.1333 parla di contratto a effetti obbligatori (che tendono a costituire diritti di credito), difatti recita  la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivano obbligazioni per il solo proponente…”. Ragioni gravi possono suggerire di sottoporre al consenso del soggetto, l’acquisto dei diritti reali che trascinano con sé obbligazioni e responsabilità: e cioè tipicamente, l’acquisto della proprietà, dell’usufrutto, dell’uso. Riassuntivamente, dato che l’acquisto di diritto reali può comportare in capo al destinatario obblighi e responsabilità, si dovrebbe escludere l’applicazione del 1333 MA Sacco dice che bisogna valutare caso per caso, considerando se l’acquisto di diritti reali nuoce o meno all’oblato; così le donazioni obnuziali, pur comportando acquisti reali, non comportano disagi per il ricevente, destinatario naturale dei doni che gli possono provenire dai più vicini.
CAPITOLO SECONDO
CONSENSO, SILENZIO E DICHIARAZIONE TACITA     
Dichiarazioni tacite in genere
La dichiarazione tacita si identifica di regola con il comportamento concludente cioè quegli atti che palesano una volontà di accettazione che equivale ad una dichiarazione espressa. Il comportamento concludente è una condotta che non costituisce direttamente un mezzo di espressione, ma che presuppone e realizza una volontà e così, indirettamente, la manifesta (es. acquisto mediante self-service).
Altre volte la dichiarazione tacita si identifica con il silenzio, ma ciò avviene solo nei casi previsti dalla legge (1333/2) o quando le parti  attribuiscono al silenzio il valore di accettazione sulla base di un accordo precedente.
Sintesi:la dichiarazione tacita può identificarsi o con il comportamento concludente o con il silenzio.
Il silenzio circostanziato nella dottrina
Ci si domanda se nel caso in cui la conclusione del contratto sia subordinata ad un consenso, il giudice può desumere tale consenso dal silenzio di un soggetto  e dalle circostanze che lo accompagnano c.d. “silenzio circostanziato.” La condizione di partenza è che il contratto sia a formazione bilaterale, quindi sia richiesto il consenso della controparte. Alla domanda rispondono affermativamente la dottrina e la giurisprudenza .
Per la dottrina sì, il silenzio può significare consenso. Il risultato a cui tende la manifestazione del consenso è quello di rendere conoscibile l’intento del soggetto: tanto una condotta positiva quanto una condotta negativa può servire a rendere noto il consenso del soggetto. Il silenzio produrrebbe l’effetto di una dichiarazione in quanto è dichiarazione ogni comportamento che di fatto sia idoneo a manifestare, e  il silenzio circostanziato sarebbe, per la sua rilevanza sociale, idoneo a tal fine.
Ma Sacco fa notare che il contratto si conclude con il silenzio solo nei casi stabiliti dalla legge; Il silenzio produce gli effetti della dichiarazione solo  quando l’interessato aveva l’onere, o il dovere, di parlare e non ha parlato.
Concludendo: la legge prevede due diversi modi di conclusione del contratto:
1)      fondato sulla SCAMBIO di dichiarazioni: proposta/accettazione
2)      fondato sulla SOLA PROPOSTA art 1333 produttiva di effetti a meno che la controparte non la rifiuti. Solo in quest’ultimo caso il SILENZIO ha valore giuridico.

..nella giurisprudenza
Una massa imponente di sentenze ribadisce il principio fondamentale secondo cui il silenzio da solo, non vale consenso, data la sua equivocità (questa è la regola),  esistono però delle eccezioni alla regola, ravvisabili allorchè chi tace poteva e doveva parlare. Bisogna chiarire come e quando nasce l’onere di parlare. L’obbligo di parlare è desumibile:
-         dalla legge;
-         dalla consuetudine, o dagli usi, o dall’uso comune;
-         dal contratto;
-         dai particolari rapporti intercorsi tra le parti
-         dalla speciale correttezza e buona fede dei rapporti fra le parti.
Legge e contratto possono certamente ricollegare conseguenze ad un silenzio: si pensi ai rinnovi taciti nei contratti di durata (nella locazione ciascuna delle parti deve manifestare almeno 6 mesi prima della scadenza del contratto la volontà di non rinnovarla). Un silenzio di questo tipo esclude ogni problema d’interpretazione.
Sarà più delicato accertare in quali casi il silenzio vincola una parte.

Si può ipotizzare una RISOLUZIONE TACITA del contratto sulla base di  un mutuo dissenso tacito? Sì ma solo se dal contratto nascono obblighi di fare, se prevede viceversa obblighi di non fare e le parti non fanno esse adempiono perfettamente al contratto, non si può parlare di risoluzione tacita. Il comportamento deve essere corrispondente all’esecuzione del contratto di risoluzione.

La RINUNCIA TACITA a un diritto è il comportamento di un soggetto che rinuncia a un proprio diritto, tenendo un comportamento incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto. Es. rapporto di lavoro: lavoratore che continui a dare esecuzione al rapporto, non può contestare le condizioni di lavoro che il datore ha unilateralmente mutato, se non vi ha fatto opposizione (se non si oppone, tiene un comportamento incompatibile con l’intenzione di far valere un proprio diritto). 


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