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sabato 2 aprile 2011


CAPITOLO SESTO
LA RICEZIONE DELLA DICHIARAZIONE CONTRATTUALE
La dichiarazione contrattuale si insegna è recettizia, ma vediamo cosa significa: è recettizia una dichiarazione che produce effetti giuridici solo al momento della sua ricezione (intesa come conoscibilità e non come effettiva conoscenza) da parte del soggetto cui è destinata.
L’art.1326 1°comma dispone infatti che “il  contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte” (conclusione del contratto)
Per superare lo stato d’incertezza l’art.1335 precisa che “La proposta , l’accettazione, la revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.(presunzione di conoscenza)
Il momento della conclusione del contratto è rilevante in ipotesi di successioni legislative per vedere qual è la norma applicabile oltre che per vedere da quando decorre il termine per l’adempimento e valutare quindi eventuali inadempimenti.
Il luogo è rilevante per vedere qual è il giudice territorialmente competente per eventuali controversie che dovessero sorgere. L’art.20 c.p.c. sappiamo che indica come competente per cause relative ad obbligazioni anche il giudice del luogo dove l’obbligazione è sorta.
La spedizione
La fase preparatoria della ricezione è la spedizione, o indirizzamento. L’indirizzamento è una fase necessaria alla perfezione della dichiarazione contrattuale perché con esso viene individuato il destinatario della dichiarazione stessa. Tuttavia il mezzo prescelto per l’indirizzamento deve essere idoneo allo scopo.Anche l’affidamento della dichiarazione al terzo o al dipendente incaricati di trasmettere è vero indirizzamento. Se invio la segretaria ad imbucare una lettera,  l’indirizzamento esiste quando le consegno la lettera e le ordino di imbucarla ed ella esce dal mio controllo, e non quando ella imbuca. Quindi riepilogando con la spedizione la dichiarazione esce dal controllo del dichiarante e soggiace al controllo di altri; il mezzo prescelto per la spedizione deve essere obiettivamente idoneo allo scopo.
Può sorgere una  problema una spedizione eseguita con un mezzo idoneo è sufficiente a vincolare il dichiarante? Il Sacco afferma che, di regola, l’idoneità della spedizione prevale sulla volontarietà dell’atto. Quindi la dichiarazione è perfezionata anche se in capo al dichiarante manca una precisa volontà di dichiarare; es. spedizione effettuata per distrazione, quindi una spedizione involontaria. In una situazione di questo tipo l’unico rimedio consentito al dichiarante è l’annullamento per vizio del consenso, cioè non potendo egli affermare l’inesistenza della dichiarazione (che è stata sanata dall’idoneità del mezzo di spedizione), dovrà cercare di provare (ex art.1433) la presenza di un vizio della dichiarazione esistente.
Quando però la spedizione involontaria (invito domino) è tale da determinare una situazione di apparenza, l’art.1433 non può più essere invocato prevale il principio di apparenza a favore del destinatario (quando il suo affidamento sia incolpevole e il dichiarante sia in colpa). Es. Tizio detta e sottoscrive una proposta poi ordina alla segretaria di distruggerla, ma lei non esegue l’ordine e la lettera viene spedita dal fattorino per errore).
ART 1433=TORO-MAMMA
Il momento finale della dichiarazione contrattuale
1326=DAMA-NOCE ;1334=DAMA-AMORE; 1335=DAMA-MELA
La dizione degli articoli 1326, 1334, 1335 individua come requisito finale della dichiarazione contrattuale la conoscenza (conoscenza concreta) che il destinatario ne acquista. Questa formulazione è poi corretta dall’art.1335, per cui il semplice arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario è equiparato a conoscenza se il destinatario non prova di essere stato senza colpa nell’impossibilità di avere notizia della dichiarazione (conoscenza presunta).
La legge è quindi chiara: l’art.1335 ha adottato il “principio di cognizione” secondo cui si presume la conoscenza nel momento in cui viene provata la ricezione, cioè l’arrivo all’indirizzo del destinatario, se il destinatario non prova di essere stato senza colpa nell’impossibilità di avere notizia della dichiarazione.
Ma la legge non risolve un ulteriore quesito: le cause di giustificazione del destinatario che si ritiene “senza colpa”, devono essere valutate oggettivamente o soggettivamente? La dottrina si divide tra fautori della:
1)      Concezione oggettiva della conoscibilità , secondo cui la dichiarazione è perfetta tutte le volte che ne sussiste l’obiettiva conoscibilità, quando la dichiarazione è giunta al destinatario la sua conoscenza è sempre presunta, finchè non risulti nella situazione concreta che l’ingresso della dichiarazione nella sfera del destinatario fu impedito da una causa di forza maggiore .
2)Concezione soggettiva della conoscibilità condivisa da Sacco  che è stata sostenuta con altre 3 argomentazioni:
1)      le norme sulla notificazione non consentono il fenomeno della conoscibilità “oggettiva”
2)      l’art.1341 (condizioni generali di contratto) non conosce il fenomeno della recettività,
3)      l’art.1335 non dice che il destinatario possa valutare soggettivamente le ipotesi da addurre come causa di giustificazione, dice solo che egli ha la facoltà di provare un fatto certo e obiettivo, che dimostri la sua impossibilità di avere avuto conoscenza della dichiarazione.
L’art.1335 è imprecisa sotto un altro aspetto: non spiega se entrambe le parti siano legittimate a far valere il vizio della recezione (l’impossibilità di conoscere) o se una sola di esse (il destinatario) abbia il potere di scegliere fra l’efficacia e l’inefficacia della dichiarazione non conosciuta.
Il Sacco ritiene che, di regola, solo il destinatario possa far valere il vizio della ricezione, Un’altra regola esposta dal Sacco è che la dichiarazione produce i suoi effetti quando l’emittente faccia tutto il possibile per comunicarla alla controparte e questa si renda colpevolmente ignorante.  Sacco prevede in via di eccezione che il proponente possa rinunciare agli effetti della sua dichiarazione in presenza di due condizioni:
1)      non sappia e neanche sospetti al momento dell’emissione dell’impossibilità della conoscenza,
2)      dimostri che il vizio della ricezione è dipeso da colpa del destinatario, l’ignoranza colpevole si equipara alla conoscenza, ma anche la stessa ignoranza incolpevole o lo stesso mancato arrivo dipeso da fatto del destinatario possono meritare un trattamento analogo. Es. il caso del contraente il quale dopo aver rifiutato di ricevere la raccomandata contenente la diffida ad adempiere, pretenda poi di sottrarsi alle conseguenze della diffida, allegando di non averne avuto conoscenza
Se il proponente non rinuncia il contratto è validamente concluso.
Recezione della dichiarazione e problemi casistici
L’art.1335 assegna rilevanza all’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario. Ma cosa significa “indirizzo” del destinatario?
Analizziamo e risolviamo un altro problema: in che momento si perfeziona  la manifestazione di volontà resa sotto forma di comportamento concludente? Nel momento in cui il destinatario ha conosciuto l’evento o quando le tracce del comportamento di attuazione gli sono pervenute  (es. se la merce ordinata viene spedita senza previa accettazione, e siamo fuori dall’ipotesi dell’art.1327, il contratto è concluso nel luogo e nel momento in cui la merce è consegnata al proponente).
ART 1327 =DAMA-NUCA
Il momento finale della proposta al pubblico ART 1989=TOPO-FABIO
la proposta (offerta) al pubblico: 1) opera senza bisogno di una conoscenza;2) non è recettizia.
Ad aiutarci possiamo richiamare la formula dell’art.1989colui che rivolgendosi al pubblico promette…è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica”, ciò non indica solo che gli effetti della promessa retroagiscono al momento della divulgazione, ma è idonea a indicare che con la divulgazione la promessa è perfetta. Il Sacco dimostra  che opera senza bisogno di conoscenza ricorrendo al paragone con la revoca ex art.1336 2° commala revoca dell’offerta, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equipollente, è efficace anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia”;  argomentando in modo diametralmente opposto rispetto alla dottrina tradizionale.
Si parte dalla premessa comune che la non necessità della conoscenza è espressamente prevista dalla legge solo per la “revoca” della proposta. Le conclusioni diametralmente opposte sono le seguenti:
-         per la dottrina tradizionale proprio dalla premessa si desume la differenza di trattamento: la revoca non necessita di conoscenza, non è una dichiarazione recettizia; la proposta necessita di conoscenza è recettizia (se il legislatore avesse voluto un eguale trattamento lo avrebbe espressamente previsto)
-         per il Sacco la pubblicazione è un requisito che da solo perfeziona la dichiarazione anche senza bisogno di conoscenza.

CAPITOLO OTTAVO
CORRISPONDENZA TRA PROPOSTA E ACCETTAZIONE
Perché l’accettazione sia efficace occorrono:
-         Corrispondenza cronologica: art.1326/3
-         Corrispondenza formale: art.1326/4
-         Corrispondenza oggettiva:art.1326/5
                           ß
Congruenza oggettiva dell’accettazione alla proposta
Tra l’accettazione e la proposta deve sussistere una congruenza oggettiva, cioè debbono avere un identico oggetto, un’accettazione contenente una variazione vale come nuova proposta, se essa non è accettata a sua volta, il contratto non si conclude. La norma che codifica tale regola è l’art.1326 che al 5°comma prevede:  “un’accettazione non conforme alla proposta equivale a una nuova proposta.”
Tale regola incontra due eccezioni:
1)      quando la proposta in realtà può dividersi in più sottoproposte e l’accettazione può riferirsi ad alcune di esse e concludere ugualmente il contratto per quelle parti
2)      quando l’accettazione pura è accompagnata da una proposta di modifica, qui il contratto è concluso senz’altro salvo la facoltà per il proponente di accettare a sua volta la proposta di modifica  o di rifiutarla.
CAPITOLO NONO
LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO A FORMAZIONE PLURILATERALE
Quando le parti del contratto sono più di due le accettazioni devono pervenire al solo proponente o ogni accettazione  deve pervenire ad ogni altro oblato? Ogni accettazione deve pervenire al proponente e a tutti gli oblati. Tale criterio è stato enunciato dalla dottrina attraverso l’esame dell’art.1326 e dell’art.1332 che tratta del contratto cui possono aderire altre parti, questa figura è detta “contratto aperto”.ART 1332=DAMA-MANO

Il contratto aperto regolato dell’art.1332 (adesione di altre parti al contratto) è un contratto in cui  l’aderente assumerà un certo carico di obbligazioni e reciprocamente avrà il diritto che gli altri contraenti effettuino la prestazione, se le prestazioni dei contraenti comportano la costituzione di un fondo, l’aderente avrà altresì diritto alla sua quota ideale del fondo. E’ un contratto già formato da alcuni soggetti (contraenti originari) con possibilità da parte di altri soggetti di aderirvi (contraenti aggiunti), mediante l’aggiunta al contratto di una clausola di adesione. L’art.1332 non dice che l’adesione debba essere una proposta né dice che debba essere un’accettazione potrà quindi rientrare nella previsione dell’articolo tanto una proposta quanto un’accettazione. Il requisito della comunicazione dell’adesione a tutti i contraenti originari è posto nell’interesse di questi ultimi se esso difetta, i contraenti originari possono dedurne l’inesistenza dell’adesione, ma l’aderente il quale abbia già comunicato l’adesione ad una parte dei contraenti originari, non può avvalersi dell’incompletezza delle notifiche per sottrarsi agli effetti dell’adesione prestata.











domenica 27 marzo 2011

CAPITOLO TERZO
LA CONCLUSIONE MEDIANTE L’INIZIO DELL’ESECUZIONE
L’art.1327 e il sistema ART 1327 =DAMA-NUCA
L’art.1327 c.c. dispone che “qualora su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione” (esecuzione prima della risposta dell’accettante, anche se il proponente ancora non lo sa). Il medesimo articolo prevede inoltre che “l’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno”.
come deve essere inquadrato, che valore ha,  un atto generale di esecuzione?
Secondo una dottrina tedesca sviluppata da Manigk, e divulgata in Italia da Betti, i negozi possono consistere  in  dichiarazioni o in comportamento concludente. Il comportamento concludente è una manifestazione di volontà che prende il nome di comportamento di attuazione.Quindi un atto generale di esecuzione ha valore di manifestazione di volontà.
 Ma che rapporto esiste tra l’inizio dell’esecuzione e il comportamento di attuazione?
Per dottrina e giurisprudenza la fattispecie di cui all’art.1327 è ricompresa nella categoria più generale del comportamento di attuazione. Per il Sacco il fatto di equiparare, a priori ogni inizio di esecuzione ad una forma di accettazione per fatto concludente sminuisce la portata sistematica dell’art.1327. Per il Sacco l’iniziata esecuzione, è un mero comportamento materiale,  non è in grado da sola né di impegnare né di chiarire in che cosa consista l’esecuzione integrale. Es. se io offro una tazza di caffè a Tizio, l’esecuzione di questa prima consegna è esaurita, ma non è esaurita l’esecuzione di una somministrazione di caffè da effettuarsi per tutto l’anno. Occorre un’altra fonte  (legale o negoziale) che individui il contenuto della prestazione da eseguire, ed un ulteriore fonte (legale o negoziale) che trasformi l’esecuzione spontanea in esecuzione dovuta, e quindi collegata con rischi garanzie e responsabilità.  Un esempio in cui  è la legge che determina l’obbligo di trasformare l’iniziata esecuzione da spontanea (e limitata) a dovuta (e continuativa) è la gestione di affari altrui art.2028.
ART 2028=NASO-NEVE
L’art.1327 A questa fattispecie, la legge conferisce la qualifica di contratto, con ciò essa attribuisce carattere di sinallagmacità agli obblighi che il proponente ha assunto per sé ed imposto alla controparte.
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Ambito di applicazione dell’art.1327
L’art.1327 limita la possibilità di concludere il contratto mediante l’iniziata esecuzione in 3 casi: in dipendenza  della volontà del proponente, della natura del contratto, o degli usi.
Secondo la giurisprudenza meno recente la natura del contratto comporta l’esecuzione senza risposta:
-quando l’esecuzione sia tanto urgente, da poter essere pregiudicata se posticipata all’accettazione
-quando sussista uno specifico interesse del proponente all’esecuzione immediata, prevalente sull’interesse a ricevere la comunicazione dell’accettazione.
Queste limitazioni sembrano arbitrarie, infatti per il Sacco la natura del contratto comporta la conclusione dell’affare senza bisogno di risposta in tutti i casi in cui sussistono questi requisiti:
1.la prestazione domandata nella proposta abbia un contenuto positivo
2.e determini un’ingerenza nella sfera giuridica del proponente
3.e sia esclusa l’utilità di trattative
Quest’ultima circostanza si verifica quando il prezzo della prestazione è stato fissato, o sta per essere fissato in anticipo da terzi, o dall’andamento del mercato (contratto di borsa), o dall’autorità (prenoto presso il tabaccaio una quantità di francobolli commemorativi di prossima emissione) o dall’offerente (vendita mediante automatico), o dall’oblato (che ha inviato un catalogo)..
ANALOGIE 1327/1333
entrambi sono fattispecie a formazione unilaterale
entrambi derogano al 1326 (contratto concluso quando il proponente viene a conoscenza dell’accettazione)
entrambi non necessitano di accettazione, ma c’è solo una proposta
art.1333 obbligazioni a carico del solo proponente
art.1327 obbligazioni a carico di entrambi
DOMANDE VARIE
Problema: difformità tra proposta (ordino 100) ed esecuzione (mi consegnano 50). Il contratto è concluso lo stesso (c’è stato inizio esecuzione anche se la stessa non è stata esattamente eseguita) o il contratto non è concluso? (non c’è conformità tra proposta ed esecuzione). E’ un problema aperto: l’orientamento generale prevede che il comportamento dell’oblato attuativo di una proposta non esattamente eseguita vale come controproposta (1326/5). Esiste qualche riserva, in quanto questa è una soluzione in linea con i canoni logici di proposta e accettazione, ma non tiene conto delle diverse circostanze.
Domanda: se un soggetto tiene un comportamento conforme alla proposta, ma dichiara di non volere aderire alla stessa tale condotta vale come accettazione alla proposta?
Solutio: per evitare che l’oblato ne approfitti, vale la buona fede del proponente. Occorre però distinguere:
-se il comportamento dell’oblato è qualificabile ex 1327, vale come accettazione
-se il comportamento dell’oblato non è qualificabile ex 1327 si ha un’ingerenza illecita e non autorizzata nella sfera del proponente.
In ogni caso va valutato sempre caso per caso.
CAPITOLO QUARTO
IL CONTRATTO DI FATTO
L’esecuzione non preceduta da proposta della controparte
Vediamo, ora il caso di attuazione non preceduta da nessuna proposta (cioè senza precedente accordo o con un accordo nullo). Attuazione significa o esecuzione di una prestazione a vantaggio di una seconda persona ; o appropriazione di un bene presente in una sfera aliena.
La differenza rispetto all’ipotesi del’art.1327 sta nel difetto di una precedente proposta.
La dottrina ha escluso di regola la natura contrattuale di esecuzioni non supportate da una proposta essenzialmente per due ragioni:in primo luogo, una prestazione attuata senza previo accordo non vale a individuare in che debbano consistere gli obblighi di chi presta nonché della controparte;poi una volta ricevuta la prestazione, anche ove sia possibile prestabilire una correlazione fra prestazione eseguita  e controprestazione, il destinatario di essa rischia di eseguire una controprestazione più onerosa di quanto non sia stato il suo arricchimento.
Tuttavia esistono ipotesi in cui queste due obbiezioni vengono neutralizzate, queste eccezioni sono i contratti di fatto cui la legge o gli usi riconoscono effetti contrattuali e forme di tutela contrattuali sebbene non rientrino nello schema generale del contratto.
MEDIAZIONE , art 1754=TACCO -LARA
Nella mediazione (art.1754c.c.), un soggetto (il mediatore) svolge un’attività di cui altri profitta, e gli usi tipizzano il compenso in una percentuale sull’oggetto di quell’attività; il legislatore riconnette alla prestazione dell’attività il diritto al compenso, e considera contrattuale la fattispecie.
Art.1754 Mediatore: E’ mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione dipendenza  o di rappresentanza.
Art.1755 Provvigione: il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento. La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti in mancanza di patto tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità.
Che il contratto di mediazione non risponda allo schema consensualistico e bilateralistico degli altri contratti è evidente. L’elemento che ha reso possibile al legislatore attribuire alla fattispecie gli effetti del contratto sono gli usi che tipizzano la prestazione cui ha diritto il mediatore, e rendono così superflua la trattativa e l’accordo sul punto.
Una peculiarità del regolamento di mediazione è questo, che gli effetti dell’esecuzione (che qui coincide con la produzione di un risultato) possono essere paralizzati dal dissenso manifestato dall’una o dall’altra parte prima del verificarsi del risultato: previa rinuncia (da parte del mediatore) proibitio (da parte del destinatario).
(così, se, il cliente ha fatto sapere che non riconoscerà l’opera dei mediatori, o se il mediatore ha dichiarato di non volere operare per amicizia). L’esecuzione vincola tanto il mediatore, quanto il cliente.
Si può dire perciò che nella mediazione , l’attuazione equipara il silenzio delle parti a consenso; oppure che l’attuazione conclude un contratto non consensuale, purchè non intervenga una previa rinunzia da parte del mediatore, o una prohibitio da parte del cliente.
CONTRATTO DI LAVORO NULLO O ANNULLATO
Un altro caso è quello del contratto di lavoro nullo o annullato in cui la prestazione effettuata dà diritto alla retribuzione, è previsto dall’art.2126c.c.la norma dispone: la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto e della causa. 
L’articolo in esame obbliga il datore di lavoro a retribuire il dipendente per l’attività lavorativa svolta fino alla pronuncia di nullità o di annullamento, anche se questa prestazione non sia stata conseguenza di una proposta valida. La prestazione del lavoratore è tutelata dalla legge per il solo fatto che la prestazione è stata eseguita.
Molti interpreti fanno discendere gli effetti della fattispecie ad un consenso, sia pur ridotto allo schema minimo del contratto appena esistente, e comunque capace di contenere in sé un preciso regolamento di rapporti.
Per l’autore pare  non sempre il consenso può essere utilizzato per regolare i rapporti fra le parti.
Qual è dunque la fattispecie che il diritto considera come contratto?
Gli effetti propri del contratto di lavoro scattano se una prestazione è stata eseguita. Dell’esistenza del contratto si può parlare soltanto a esecuzione avvenuta; e non è possibile riconnetterla alla volontà delle parti, poiché la volontà delle parti può mancare. E l’individuazione qualitativa e quantitativa della prestazione posta a carico del datore di lavoro andrà cercata altrove. La prestazione del lavoratore è tutelata per il semplice fatto che è stata eseguita. Gli effetti del contratto di lavoro  (diritto alla retribuzione) scattano solo a prestazione eseguita, indipendentemente dal fatto che tra le parti sia intervenuto un accordo nullo. Operano gli usi che permettono di determinare in modo chiaro ed evidente l’oggetto della controprestazione.
L’art.2126 c.c. non intende equiparare il contratto invalido a quello valido, producendo una sanatoria del contratto invalido, ma intende conservare gli effetti negoziali del rapporto di lavoro già svoltosi, al fine di tutelare il diritto del lavoratore alle retribuzioni e al TFR.
LA SOCIETA’ DI FATTO
Il legislatore ha inteso rifiutare riconoscimento alla figura della società di fatto. Invece dottrina e giurisprudenza  sono di opinione contraria, motivando il riconoscimento di questa figura contrattuale non consensuale, nel senso che si presenterebbero enormi difficoltà  a regolamentare tale fenomeno su basi quasi contrattuali, risultando oggettivamente più semplice individuare la prestazione societaria (e definire quali siano i diritti e obblighi delle parti) adottando una schema contrattuale. Quindi l’attuazione del rapporto societario di fatto vincola solo se la parte  ha effettuato l’esecuzione e la controparte  vi ha consentito (o che non l’ha impedita). L’esecuzione supplisce ai difetti di forma.
COLLATIO AGRORUM RUSTICORUM
Altra ipotesi di contratto concluso mediante attuazione di obblighi, poteri e diritti è la cd. collatio agrorum rusticorum, con cui più proprietari di fondi creano una comproprietà di strada agraria conferendo in compossesso i tratti di terreno occorrenti per costruirla, o prestando altri beni. Anche qui abbiamo una vistosa deroga ai principi sulla forma, ed abbiamo un contratto senza dichiarazioni, concluso mediante l’attuazione di fatto di obblighi, efficace in materia di effetti reali in cui l’esecuzione sopperisce ai difetti formali.
Viste le varie ipotesi di contratto di fatto possiamo concludere pacificamente dicendo che esso è un contratto, per l’esistenza del quale il consenso non è necessario.
Conclusioni sulla rilevanza del consenso***
Art 1333=DAMA-MAMMA
Non sempre dunque il consenso bilaterale è necessario per la conclusione del contratto. Intanto in via di massima si chiede il consenso solo della parte che si impegna. Quanto alla parte che acquista è sufficiente che essa non rifiuti. Un elemento in più è richiesto per l’acquisto del diritto reale (art.1333). legge contratto precedente e usi possono semplificare la fattispecie, rendendo non necessario il consenso di una parte, cui viene concesso solo di impedire con il rifiuto la conclusione del contratto.
In taluni casi l’inizio dell’attuazione unilaterale produrrà effetto anche se non preceduta da una proposta; a condizione però che non ci sia una prohibitio (mediazione, lavoro).

DIRITTO CIVILE SEZIONE I: LA NOZIONE DI CONTRATTO

CAPITOLO UNICO  LA NOZIONE DEL CONTRATTO

Il contratto categoria nota a molti sistemi

Domanda:E’ possibile che accanto alle singole manifestazioni, operi una nozione, un’idea di contratto unitaria?
Risposta: Le definizioni giuridico-positive del contratto, che variano da un sistema ad un altro, potrebbero essere fenotipi di una nozione ispiratrice unica cioè di un unico genotipo.

La concezione base del contratto

Bisognerebbe domandarsi cosa vogliano dire i giuristi quando parlano di contratto riferendosi, in genere,  ad una figura di contratto estranea e superiore al diritto nazionale, capace di corrispondere contemporaneamente a una serie di figure di contratto storiche e nazionali. Le possibili risposte sono quattro:
1)      il codice civile italiano (artt.1321-1325) combinato con quello Napoleonico (artt.1101-1108) fa intendere che il contratto è un accordo, ossia un consenso. Tuttavia ogni lingua distingue il contratto dal mero accordo, quindi  l’accordo per essere un contratto deve essere accompagnato da circostanze identificatorie, cioè circostanze completive necessarie al suo riconoscimento. La concezione pattizia si radica bene nell’idea che raffigura le parti come originariamente libere e sovrane nella propria sfera giuridica, legittimate perciò a disporre di questa sfera con atto insindacabile, e pertanto capaci di creare un rapporto giuridico sempreché entrambi i soggetti consentano alla nascita di quel rapporto. Lo strumento per l’esercizio di questa sovranità è, a prima vista, la volontà, e il contratto sarà dunque un accordo di volontà.
2)      Nel diritto romano il contratto può significare impegno fonte di obbligo o di altra soggezione giuridica – naturalmente il punto di partenza della costruzione è l’impegno consentito. La promessa è qualcosa di serio, è vincolante perché crea un affidamento, un’attesa ragionevole ossia un impegno.
Secondo Sacco non esiste un unico genotipo del contratto, di cui le varie espressioni legislative e positive siano concrete applicazioni e specificazioni. il contratto è un grappolo di concezioni tutte legittime e tutte passibili di molteplici e valide concretizzazioni.
Contratto e negozio giuridico
Il nostro codice non parla di negozio giuridico. Il negozio giuridico è una categoria scientifica elaborata dalla pandettistica tedesca. La dottrina italiana è stata però influenzata dalla dottrina tedesca recependo la categoria del negozio giuridico. Il contratto è un istituto che si colloca vicino ad altri istituti che possono essere ricompresi nella categoria del negozio giuridico. L’art.1324 intitolato norme applicabili agli atti unilaterali prevede “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Quindi il negozio giuridico è una categoria omnicomprensiva in cui rientrano tanto i contratti, quanto tutti gli altri atti patrimoniali tra vivi, gli atti mortis causa e i negozi di diritto familiare; in definitiva il negozio è categoria più ampia e il contratto (negozio bilaterale) è una sua sottocategoria.
La categoria del negozio incontra come suo limite il mero atto giuridico. Nel negozio ha rilievo la volontà o meglio possiamo individuare un collegamento tra volontà ed effetti; nel mero atto giuridico(es. una dichiarazione) manca il collegamento tra volontà ed effetti, gli effetti dipendono dalla legge. Es. chi compie un delitto va incontro ad una pena indipendentemente dalla volontà. Anche negli atti leciti ci sono effetti svincolati dalla volontà: l’abbandono di un bene comporta la perdita di esso indipendentemente dalla volontà di chi l’ha abbandonato.
Perché da un contratto nasce un vincolo giuridico?
Per vincolo s’intende un limite posto alla libertà del soggetto; secondo il dogma della volontà: io sono vincolato perché ho voluto vincolarmi. Ma tale ricostruzione logica presenta dei problemi; esistono norme che istituiscono un vincolo anche in ipotesi in cui tale vincolo non è voluto.
Es. art.1443 che parla dell’errore ostativo dice che le disposizioni degli articoli precedenti (il contratto è annullabile quando l’errore è riconoscibile ed essenziale) si applicano anche quando l’errore cade sulla dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa  da persona o ufficio che ne era stato incaricato. 
L’articolo prevede quindi il caso in cui il vincolo non è voluto ma sorge ugualmente, quindi è la legge che impone il vincolo per tutelare, l’affidamento (buona fede) (principio di autoresponsabilità) e non la volontà di autobbligarsi.
Art 1443 =TORO-ROMA

Lettera del codice e definizione di contratto

Il codice civile definisce in modo impreciso il contratto, richiamandosi a due norme:
L’art.1321 che  identifica il contratto con un elemento unico: l’accordo; e l’accordo è qualificato dal suo contenuto: e cioè verte sulla costituzione, il regolamento o la estinzione di un rapporto patrimoniale. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
L’art.1325 poi ridefinisce il contratto elencandone ben 4 elementi costituendi:i requisiti del contratto sono: l’accordo delle parti; la causa; l’oggetto; la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”.
La definizione di contratto è criticabile dal punto di vista dei requisiti (ex art.1325) e dal punto di vista della funzione e della validità.
Dal punto di vista dei requisiti, l’art.1325 è incompleto, non considera che:
-          Per quanto riguarda l’accordo, non tutti i contratti si risolvono nell’incontro di due volontà: (si pensi al caso della riserva mentale, e al caso frequente di chi conclude fittiziamente quale interposto, e poi si trova vincolato a ciò che dichiara, perché il terzo contraente non è intervenuto nell’intesa simulatoria). A questo primo rilievo va aggiunto un altro più grave. Non sempre il contratto si articola in due dichiarazioni. Nel caso di cui all’art.1333, 2° comma , esso si perfeziona con la ricezione della proposta seguita dalla mera inattività della controparte. Per cui il contratto di cui all’art.1333 non sottende ad un accordo. In altri casi il contratto è perfezionato da una dichiarazione seguita da un inizio di esecuzione (art.1327). Talora poi consta dell’esecuzione di due prestazioni (società di fatto, contratto di fatto).
-          La causa è un ulteriore elemento necessario del contratto, se non versiamo nell’ipotesi dei contratti astratti, cioè validi indipendentemente  dall’esistenza della causa es. cambiale.
-          La forma e la pubblicità sono  poi elementi essenziali di taluni contratti, non tutti i contratti sono formali.
-          Infine per quanto riguarda l’oggetto non tutti i contratti sono vincolati al requisito della c.d. patrimonialità. L’art.1321 fa coincidere il contratto con la figura dell’accordo vertente su rapporti giuridici patrimoniali. Ma questa equazione è smentita da altri articoli del codice. L’art 5 c.c. si riferisce agli atti di disposizione sul proprio corpo, per vietare quelli troppo gravosi per il disponente, e quelli contrari alla legge all’ordine pubblico o al buon costume. I diritti sul proprio corpo non hanno carattere patrimoniale, ma l’art.5 dimostra che essi sono in alcuni casi negoziabili. Ci si  domanda  se i negozi aventi ad oggetto tali diritti siano contratti e poiché la risposta è almeno in parte affermativa la definizione degli artt.1321 e 1325 appare troppo restrittiva.
La definizione contenuta negli artt.1321 e 1325 non risulta migliore dal punto di vista della funzione e della validità:
-          Funzione: dal c.c. si desume che deve considerarsi contratto solo l’atto giuridico che in presenza dei requisiti (art.1325) persegue lo scopo (art.1321) di regolare rapporti giuridici patrimoniali. Se così è tutti gli altri atti giuridici  non sono contratti. La realtà è differente infatti esistono contratti unilaterali (senza accordo), contratti nulli (con causa illecita), contratti di fatto, contratti che producono effetti extrapatrimoniali. Quindi tutte le forme di contratti che non rispettano la funzione astrattamente imposta dalla legge.
-          Validità: dal c.c. si deduce che è nullo il contratto privo dei suoi requisiti essenziali. Ma il legislatore ha ancora una volta peccato d’imprecisione perché si è dimostrato che molti sono i contratti validi carenti di alcuni requisiti previsti dal 1325. Quindi per definire un contratto nullo va analizzato il caso specifico e l’eventualità che non si possano produrre gli effetti caratteristici di quel negozio a causa della mancanza dei requisiti tipici di quel contratto.
E’ difficile dare una definizione perfetta di contratto perché  perché si deve tener conto di un’enorme quantità di variabili;
Il Sacco per regolamentare la materia stabilisce quindi una regola specificandola con delle eccezioni.
La regola definisce il contratto sinallagmatico fondato su un accordo, scambio di dichiarazioni; che persegue lo scopo di costituire rapporti giuridici patrimoniali; con una causa e capace di produrre i suoi effetti.(valido)
Le eccezioni sono:
-         unilateralità del contratto senza accordo-scambio
-         eventuale effetto modificativo o estintivo del rapporto giuridico patrimoniale
-         eventuale non patrimonialità
-         eventuale assenza di causa
-         eventuale nullità o annullabilità

SEZIONE II: LA CONCLUSIONE DELL’ACCORDO

 

CAPITOLO PRIMO

ACCORDO E FORMAZIONE BILATERALE DEL CONTRATTO
Il contratto è definito da molti come un negozio a forma bilaterale o plurilaterale, cioè come la somma di tante dichiarazioni quante sono le parti.
Lo confermano gli art.1321 c.c. “il contratto è l’accordo tra due o più persone per regolare costituire estinguere un rapporto giuridico patrimoniale”.
Art.1326il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
La definizione comune di contratto prevede la bilateralità. Il contratto è uno scambio di dichiarazioni.
L’art.1333 2°comma mette in difficoltà questa comune ricostruzione della categoria.
Art.1333c.c.contratto con obbligazioni del solo proponente: “la proposta diretta a concludere un contratto, da cui derivano obbligazioni per il solo proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura degli affari o degli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”.
L’autore vuole dimostrare che la bilateralità non è mai stato requisito di tutti i contratti. Lo è solo per i contratti sinallagmatici, dove sorgono obbligazioni per entrambe le parti, ma manca nei contratti unilaterali (ex art.1333) che tendono ad imporre obblighi ad una sola delle parti.
-         L’art. 1333 abbiamo detto mette in crisi il concetto di bilateralità.
Vediamo  che l’esigenza della bilateralità nella formazione del contratto può farsi discendere da due principi, che, a loro volta, determineranno conseguenze pratiche diverse:
1)      dal principio della sovranità formale della volontà del soggetto sulla propria sfera giuridica : la sfera di un soggetto non può essere alterata né in peggio né in meglio dalla dichiarazione unilaterale altrui
2)      dal principio della prevenzione della lesione patrimoniale ingiusta :la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata in peggio dalla dichiarazione unilaterale altrui.
Se il legislatore accogliesse integralmente la regola della sovranità formale della volontà del soggetto sulla propria sfera troveremo applicato il principio secondo cui nessuno può essere arricchito né impoverito senza il proprio consenso.
La nostra dottrina non ammette il contratto con unica dichiarazione
La fattispecie di cui all’art.1333 è un contratto unilaterale con obbligazioni del solo proponente, è un contratto con un’unica dichiarazione: qui c’è solo la volontà del proponente a impegnarasi a cui corrisponde un silenzio della controparte.

ART 1333 E LA QUESTIONE DEL SILENZIO
Applicando il dogma della bilateralità del consenso non abbiamo perfezionamento del contratto. la dottrina, allora, ha dato diversi significati al silenzio.
1-Il silenzio può valere come accettazione in presenza di silenzio circostanziato: cioè quando il giudice, in relazione a tutte le circostanze di fatto del caso concreto, ritiene che, nell’ipotesi data, tale silenzio possa significare volontà di accettare. In questo caso vale la bilateralità nella formazione del contratto. Se il  silenzio in quella determinata circostanza è accompagnato da fatti positivi capaci di attribuirgli natura di mezzo espressivo, avremo qui un silenzio circostanziato, che potrebbe essere giustamente classificato tra le manifestazioni di volontà.
La natura del silenzio circostanziato differisce profondamente da quella del silenzio semplice. 
2- il silenzio può valere come accettazione in caso di mancato rifiuto :se di fronte al silenzio si verificano  tutte le conseguenze del contratto, allora non è il silenzio perfezionare il contratto, ma la sola proposta, sempreché i suoi effetti non siano impediti dal rifiuto,. Il Sacco è di questo avviso.
Il 1333 cc. È un contratto bilaterale (presenza di due o più parti); ma a formazione unilaterale (solo il proponente manifesta la volontà e assume obbligazioni), tuttavia il silenzio ha efficacia perfettiva del contratto.
Questa ingerenza portando solo vantaggi, comporta che il contratto sia concluso; ma a tutela della controparte l’art.1333/2 prevede la possibilità per il destinatario di  rifiutare i vantaggi se non voluti “nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi”.
L’art.1333 e il sistema
Contratto e impegno unilaterale
Con l’art.1333, 2° comma, la fattispecie contrattuale più elementare diviene la dichiarazione d’impegno come atto a formazione unilaterale. Dalla dichiarazione d’impegno (o promessa) unilaterale si passa alla figura più complessa della promessa con repromissione, o più genericamente della proposta con accettazione, ossia del contratto come accordo bilaterale, che rappresenta la sintesi di due dichiarazioni distinte.
Per il Sacco, riassumendo, siamo sempre nell’ambito contrattuale quando in mancanza dell’accettazione è possibile il rifiuto. Ciò che distingue il contratto dal negozio unilaterale è la possibilità o meno di rifiutare gli effetti positivi che sono la conseguenza di un sacrificio patrimoniale unilaterale.
Promessa di cui all’art.1333 e promesse unilaterali
Confrontiamo le promesse unilaterali di cui all’art.1333 e le promesse regolate dagli art.1987-1991c.c.
L’art.1333 eleva a contratto la proposta (promessa individualizzata) che mira ad imporre obbligazioni al solo proponente.Una proposta del tipo di cui all’art.1333 può essere individualizzata o rivolta al pubblico (art.1336). Art.1336 offerta al pubblico “l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.
Immaginiamo ora una proposta del tipo di cui all’art.1333 (destinata quindi a creare obblighi al solo proponente) rivolta al pubblico. Gli art.1333 e 1336 ne garantiscono l’efficacia e l’autosufficienza (indipendenza cioè dall’accettazione) una tale proposta non è altro che la promessa al pubblico di cui all’art.1989. l’art.1989/1 è una ripetizione dei risultati cui si perverrebbe anche in sua assenza in forza del combinato disposto dagli art.1333 e 1336.
                        1333+1336=1989!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Secondo Sacco l’art.1989/1c.c. è norma ridondante.
Art.1989 promessa al pubblico “ colui che rivolgendosi al pubblico promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica. Se alla promessa non è apposto un termine o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa”.
Ma secondo parte della dottrina la fattispecie di cui all’art.1333 non è riconducibile all’art.1989 perché
-in primo luogo la promessa al pubblico (1989) sembrerebbe valida (vincolante) solo se  rivolta a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione (e ciò comporterebbe una restrizione dell’autonomia del promittente), mentre nella  promessa individualizzata(1333) non è specificato il destinatario della promessa o l’oggetto della stessa.
-inoltre la promessa al pubblico(1989) non sembrerebbe paralizzabile dal rifiuto,
-infine la revoca della promessa al pubblico (1989) soggiacerebbe a regole particolari.
Ma queste differenze in realtà, per il Sacco sono solo apparenti. 
Il requisito della promessa, per cui essa deve esser rivolta a favore di “chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione” è semplicemente il modo per escludere ogni efficacia della promessa al pubblico fondata su causa meramente capricciosa. Prendendo ad esempio la promessa a favore di chi compia una determinata azione è facile rendersi conto che il promittente garantirà la prestazione a chi abbia compiuto un’attività che soddisfa un interesse del promittente stesso.
Quindi la promessa al pubblico è sottoposta  alle regole sulla causa e sulla forma applicabili alla promessa individualizzata e quindi in definitiva al contratto.

L’art.1333 e il contratto formale
Ci si chiede se l’art.1333 disciplina anche i contratti formali; in altri termini se il silenzio dell’oblato (colui che riceve la promessa) può perfezionare un contratto formale?
Secondo la dottrina il silenzio vale come accettazione tacita, e premesso che i contratti formali richiedono l’accettazione espressa l’art.1333 non disciplina i contratti formali.
Secondo l’autore invece sappiamo che il silenzio non significa accettazione, premesso che i contratti formali richiedono la forma per la sola proposta, mentre non c’è ragione di cautelare il promissario che dall’atto giuridico del promittente ricava solo benefici, l’art.1333 disciplina senz’altro i contratti formali. La Corte di cassazione , con decisioni di evidente importanza, ha affermato l’applicabilità dell’art.1333 2° comma, ai contratti formali e ha dichiarato efficace ad es. una prelazione immobiliare non accettata. La corte considera il contratto di cui all’art.1333 senz’altro concluso se il promissario non rifiuta l’offerta.

Proposta di cui all’art.1333 ed effetti extraobbligatori
L’art.1333 parla di contratto a effetti obbligatori (che tendono a costituire diritti di credito), difatti recita  la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivano obbligazioni per il solo proponente…”. Ragioni gravi possono suggerire di sottoporre al consenso del soggetto, l’acquisto dei diritti reali che trascinano con sé obbligazioni e responsabilità: e cioè tipicamente, l’acquisto della proprietà, dell’usufrutto, dell’uso. Riassuntivamente, dato che l’acquisto di diritto reali può comportare in capo al destinatario obblighi e responsabilità, si dovrebbe escludere l’applicazione del 1333 MA Sacco dice che bisogna valutare caso per caso, considerando se l’acquisto di diritti reali nuoce o meno all’oblato; così le donazioni obnuziali, pur comportando acquisti reali, non comportano disagi per il ricevente, destinatario naturale dei doni che gli possono provenire dai più vicini.
CAPITOLO SECONDO
CONSENSO, SILENZIO E DICHIARAZIONE TACITA     
Dichiarazioni tacite in genere
La dichiarazione tacita si identifica di regola con il comportamento concludente cioè quegli atti che palesano una volontà di accettazione che equivale ad una dichiarazione espressa. Il comportamento concludente è una condotta che non costituisce direttamente un mezzo di espressione, ma che presuppone e realizza una volontà e così, indirettamente, la manifesta (es. acquisto mediante self-service).
Altre volte la dichiarazione tacita si identifica con il silenzio, ma ciò avviene solo nei casi previsti dalla legge (1333/2) o quando le parti  attribuiscono al silenzio il valore di accettazione sulla base di un accordo precedente.
Sintesi:la dichiarazione tacita può identificarsi o con il comportamento concludente o con il silenzio.
Il silenzio circostanziato nella dottrina
Ci si domanda se nel caso in cui la conclusione del contratto sia subordinata ad un consenso, il giudice può desumere tale consenso dal silenzio di un soggetto  e dalle circostanze che lo accompagnano c.d. “silenzio circostanziato.” La condizione di partenza è che il contratto sia a formazione bilaterale, quindi sia richiesto il consenso della controparte. Alla domanda rispondono affermativamente la dottrina e la giurisprudenza .
Per la dottrina sì, il silenzio può significare consenso. Il risultato a cui tende la manifestazione del consenso è quello di rendere conoscibile l’intento del soggetto: tanto una condotta positiva quanto una condotta negativa può servire a rendere noto il consenso del soggetto. Il silenzio produrrebbe l’effetto di una dichiarazione in quanto è dichiarazione ogni comportamento che di fatto sia idoneo a manifestare, e  il silenzio circostanziato sarebbe, per la sua rilevanza sociale, idoneo a tal fine.
Ma Sacco fa notare che il contratto si conclude con il silenzio solo nei casi stabiliti dalla legge; Il silenzio produce gli effetti della dichiarazione solo  quando l’interessato aveva l’onere, o il dovere, di parlare e non ha parlato.
Concludendo: la legge prevede due diversi modi di conclusione del contratto:
1)      fondato sulla SCAMBIO di dichiarazioni: proposta/accettazione
2)      fondato sulla SOLA PROPOSTA art 1333 produttiva di effetti a meno che la controparte non la rifiuti. Solo in quest’ultimo caso il SILENZIO ha valore giuridico.

..nella giurisprudenza
Una massa imponente di sentenze ribadisce il principio fondamentale secondo cui il silenzio da solo, non vale consenso, data la sua equivocità (questa è la regola),  esistono però delle eccezioni alla regola, ravvisabili allorchè chi tace poteva e doveva parlare. Bisogna chiarire come e quando nasce l’onere di parlare. L’obbligo di parlare è desumibile:
-         dalla legge;
-         dalla consuetudine, o dagli usi, o dall’uso comune;
-         dal contratto;
-         dai particolari rapporti intercorsi tra le parti
-         dalla speciale correttezza e buona fede dei rapporti fra le parti.
Legge e contratto possono certamente ricollegare conseguenze ad un silenzio: si pensi ai rinnovi taciti nei contratti di durata (nella locazione ciascuna delle parti deve manifestare almeno 6 mesi prima della scadenza del contratto la volontà di non rinnovarla). Un silenzio di questo tipo esclude ogni problema d’interpretazione.
Sarà più delicato accertare in quali casi il silenzio vincola una parte.

Si può ipotizzare una RISOLUZIONE TACITA del contratto sulla base di  un mutuo dissenso tacito? Sì ma solo se dal contratto nascono obblighi di fare, se prevede viceversa obblighi di non fare e le parti non fanno esse adempiono perfettamente al contratto, non si può parlare di risoluzione tacita. Il comportamento deve essere corrispondente all’esecuzione del contratto di risoluzione.

La RINUNCIA TACITA a un diritto è il comportamento di un soggetto che rinuncia a un proprio diritto, tenendo un comportamento incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto. Es. rapporto di lavoro: lavoratore che continui a dare esecuzione al rapporto, non può contestare le condizioni di lavoro che il datore ha unilateralmente mutato, se non vi ha fatto opposizione (se non si oppone, tiene un comportamento incompatibile con l’intenzione di far valere un proprio diritto).